E 5 anni dopo

Il 10 gennaio del 2016 era di domenica, come è domenica anche quest’anno.

E a Bologna faceva freddo, d’altra parte che ti aspetti che sia il 10 gennaio a Bologna? freddo, ovvio.

Quella foto fatta all’aeroporto in attesa di entrare e prendere quel volo mi mostra col giaccone imbottito e gli stivali col pelo, praticamente mai più messi da allora, a Lisbona fa molto meno freddo che lì.
Non la trovo più quella foto, quando la trovo la metto, promesso.

Beh a parte quest’anno, credo che qui 2° non li abbiano visti da almeno 30 anni.

Quel giorno è stato un battesimo per molte cose, prima volta un aeroporto “dall’interno”, prima volta su un aereo, il posto più lontano dove io sia stata, da sola perlomeno.

Un lavoro nuovo, una nuova vita, con tutte le incertezze che questo si portava.

E le incertezze erano molte, pochissimi soldi in tasca e tutti prestati da qui o da lì, per cui da restituire, e non avevo la minima idea se mai ci sarei riuscita, se quell’avventura che iniziava avrebbe avuto un seguito.

Facile dirlo dopo 5 anni, facile dare quasi per scontato che quell’avventura sembra continuare e non avere intenzione di finire a breve.

Certo, prima o poi andrò in pensione, quando mai prima di allora mi sono permessa di pensare a “quando andrò in pensione” con un minimo di tranquillità?
Mai e poi mai!!

Ho riletto quello che ho scritto in quei giorni, molto poco direi, non ho scritto dell’arrivo e dell’atterraggio dell’aereo sotto la pioggia battente e il vento che ti spostava, di come mi sono quasi persa nei meandri di quell’aeroporto, prima per ritirare il bagaglio, poi per trovare i controlli dei documenti (praticamente inesistenti, io mi aspettavo un terzo grado) e l’uscita.

E della foto che mi avevano mandato di un negozio all’interno dell’aeroporto (chi si ricorda che negozio era) davanti a cui qualcuno mi stava aspettando.
Me e altre 2 persone come me (che poi erano Roberta, che veniva a stare nella stessa mia casa, e Mariam).

E la prima volta che ho visto Roby con quelle che mi sembravano 10 valigie su un carrello, ma quanta roba si è portata, è la prima cosa che ho pensato 😀

Ho fatto un paio di foto dell’uscita dell’aeroporto di Lisbona quella sera, le prime immagini di quella che da allora sarebbe stata la mia città, la mia casa.

E il percorso in macchina per accompagnarci alle rispettive case, non riconoscerei le strade fatte anche se adesso posso immaginare quali siano, in quel momento mi sembrava un altro pianeta.

E l’arrivo a quella che è da allora la mia casa, al contrario di molti non l’ho mai cambiata, un po’ scioccante vedere la mia minuscola camera (poi mi ci sono abituata e col tempo sono passata a quella più grande).

Non ho scritto dell’alba dell’11 gennaio, quando mi sarei dovuta presentare in azienda alle 9 per iniziare il training, e ho sbagliato a mettere l’orologio, invece di un’ora in meno ho messo un’ora in più.

Col risultato di trovarmi alle 6.30 di mattina (convinta che fossero le 8.30) in un posto che non conoscevo (ero a Saldanha), era ancora buio e piovigginava e non avevo la minima idea di dove andare e cosa fare.
Con la stampa di Google Maps lasciata dal ragazzo di TP la sera prima (Rui), con le indicazioni per arrivare al City Center, ma ero troppo fuori da quella mappa e non ci capivo più niente.

Immagina il panico, immagina la sensazione di essere persa a 2500 km dal posto che potevo chiamare (si e no) casa, immagina questa quasi 60enne che si siede su una panchina (bagnata) a cercare di non piangere.
Non è stato un granché come inizio, no?

Non ho scritto neanche dei giorni successivi, il Training, i nuovi colleghi di lavoro che in breve tempo sarebbero diventati i migliori amici che avrò mai (con tutti quelli che sono arrivati dopo, ovviamente), la mia nuova famiglia.

Dopo 5 anni di loro del primo giorno sono rimaste Daria e Franci, piano piano gli altri si sono persi per strada, chi è tornato in Italia (per esempio Mariam), chi ha trovato altri lavori o progetti (Roberta è in UK).

Come non ho scritto che in quei primi giorni, presa da frenesia, cose nuove, mille interrogativi, mettici quello che vuoi, non ho mai chiamato mia sorella che era preoccupatissima, alla fine lei ha trovato il modo di chiamare in azienda e durante il training è venuta una tizia di TP dicendo che mia sorella mi cercava con urgenza, di chiamare a casa immediatamente.

Immagina un po’ come stavo, posso solo immaginare come stava lei… che stronza che sono.

E poi il resto, i giorni, i mesi che sono diventati anni, i passaggi da un edificio ad un altro, i cambi di progetto…

5 anni da allora, un compleanno mica da poco per la media di chi viene a lavorare in TP, c’è perfino una specie di simbolo che TP mette nel ccms a chi supera i 5 anni in azienda.

Alla prima occasione lo fotografo e lo aggiungo qui 🙂

Un bel traguardo, sono orgogliosa di esserci arrivata, davvero.

E incidentalmente, dopo 5 anni che si vive in un Paese straniero scatta quella che non so definire meglio di “cittadinanza acquisita”.
Eh già, sarà una rogna, burocraticamente parlando, ma diventerò portoghese, almeno in parte.

Peccato che non parlo portoghese molto di più di 5 anni fa…

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