Giorno per giorno

Questo è un altro dei miei pot-pourri, cose piccole o quasi che succedono… giorno per giorno.

Svegliarsi la mattina, non presto per carità, ma con il suono delle impalcature che vengono smontate appena fuori dalla finestra della camera, beh… non è che sia il massimo.

Dingg, sbeng, sbatabang, insomma tutti i meravigliosi suoni che possono fare tubi di ferro e tavole di legno quando entrano in collisione fra loro.

Sandra si sveglierebbe con la bocca storta brontolando, me la posso immaginare, maledicendo il mondo intero, io ho sghignazzato fra me e me pensando: “menomale che non è sabato!” altrimenti avrebbe tirato giù il soffitto.

Io, mah, sono contenta che dopo circa 20 giorni stiano levando questa gabbia che avevamo davanti a casa, almeno posso lasciare la finestra aperta per far entrare un po’ d’aria.

L’ho raccontato?

Il primo giorno dei lavori alla facciata nessuno ci aveva avvertito e quando sono tornata a casa la sera ho trovato tutto quello che sta davanti alla mia finestra (per fortuna aperta a metà e solo con le stecche della persiana) innaffiato di cemento, quello che salta via quando si usa l’idropulitrice per raschiare l’intonaco.

Il mio tavolo dove lavoro, compreso il PC, la sedia, il mobiletto, il pavimento, tutto con un meraviglioso velo grigio.

Allora si che li avrei strozzati tutti quanti, una meravigliosa sorpresa da trovare quando torni cotta dal lavoro quasi alle 9 di sera.

E sicuramente mettersi a pulire tutto (alla meno peggio) invece di farsi qualcosa di cena e crollare sul letto… oh sì proprio quello che desideravo.

Vabbè, passato, e adesso anche il resto è finito, la facciata della casa è di un bel colore giallo paglierino con la parte centrale sopra l’ingresso bianca, tutto bello pulito, devo farci una foto prima che lo smog e le intemperie rovinino tutto di nuovo.

Il Passaporto.

Devo dirlo, da qualche giorno sono l’orgogliosa posseditrice (mamma mia l’italiano, che lingua bastarda) … insomma ho il Passaporto.

Dopo aver preso l’appuntamento in Ambasciata a inizio settembre, dopo aver covato l’illusione del mio giro nel nord della Francia con puntatina alle Channel Islands (e relativa delusione), alla fine il momento dell’appuntamento è arrivato, il 30 gennaio, lunedì scorso.

Per poter andare ho cambiato il day off, spostandolo al mercoledì successivo, ho scaricato e stampato il modulo e un altro paio di documenti e sono andata, già rassegnata all’idea di perdere chissà quanto tempo per poi dover aspettare ancora la consegna del Passaporto vero e proprio.

Invece devo rivalutare la mia opinione sulle procedure della nostra Ambasciata, rispetto ad un paio d’anni fa quando ho fatto la Carta d’Identità sono molto migliorati.

Prima di tutto l’omino di cui avevo parlato allora, quello che lento lento faceva 3 cose al giorno, non c’è più.
https://www.lushabar.it/italian-embassy-tour/

Grazie Signore, gli auguro una bella pensione riposante, visto che lavorava davvero troppo.

C’era una signora di circa la mia età, sveglia, efficiente, gentile, paziente, italiana.

Tutte cose che non si devono mai mai mai dare per scontate, specie quando si ha a che fare con la nostra amata pubblica amministrazione e/o patria natia.

Anche l’usciere è cambiato, prima c’era un omuncolo sgarbato (quello che l’altra volta in tempi di Covid non faceva neanche entrare dalla porta), adesso c’è un ragazzotto sui 25/30 anni (per me a 30 anni sono ragazzi, questione di punti di vista, no?), che spiccicava qualche parola in italiano e rispondeva mezzo in portoghese e mezzo in inglese.

Tenuto conto che ero nell’Ambasciata d’Italia a Lisbona, teoricamente territorio italiano per cittadini italiani, sentirsi rispondere in inglese è stato un po’ sconcertante.

A parte questo la bella sorpresa è stata la trafila per il Passaporto.

La domanda stampata male? Ne stampiamo un’altra.
Non hai le foto? C’è questa meravigliosa macchina che te le fa al momento.
Metti i tuoi bei ditini qui, ecco fatto, abbiamo le impronte digitali.
Non hai portato i soldi? Fammi un bonifico online e manda la mail con la ricevuta.
Firma qui, controlla lì, siediti e aspetta… 15 minuti e avevo il Passaporto in tasca.

Incredibile ma vero, stampato di fresco con le prime pagine ancora calde di carta termica, una foto orribile, come tutti i documenti che si rispettino (a parte il fatto che il soggetto è orribile di per sé), con tutti i suoi timbri e bolli di rito, insomma, ho il Passaporto!

Meglio che non stia a chiedermi il vero motivo per cui l’ho fatto, a parte l’idea che forse non si realizzerà mai, di andare in UK, so bene che il motivo è soprattutto psicologico, sapere che “se voglio, posso!”.

E dici niente, vado veloce verso i 70 anni e di possibilità ne avrò sempre meno, almeno questo!

La patente che scade

Eh si, ci risiamo di nuovo, che vuoi andando avanti con l’età quella cavolo di patente ha il problema di scadere sempre più spesso.

Sono già passati 5 anni da quando con l’aiuto di Elisabeth l’ho rinnovata qui in Portogallo e ad Aprile ci siamo di nuovo.

Per cui dopo essere andata in Ambasciata ho approfittato e sono andata anche all’IMT per capire cosa devo fare per il rinnovo.

Metro, un pezzettino di strada a piedi, gli uffici diversi da quelli di 5 anni fa, la Loja de Cidadao piena di gente che aspetta dappertutto, numeri da prendere per mille cose, non ho neanche capito quanti servizi della Pubblica Amministrazione hanno accorpato tutti nello stesso enorme ufficio, un casino.

Quasi nascosta una freccia su un cartello che indicava “IMT” e mi sono messa ad aspettare che l’impiegata all’unico sportello aperto si liberasse, giusto per chiedere.

E al momento buono: “english?” e lei no, scuote la testa e mi indica un’altra sala, tavolo 17.

Per andare in quella sala dovevo prendere il numero ma come essere certa che poi sarebbe stato il Tavolo 17 ad essere libero per me?

Chiedo ad una ragazza che aiutava la gente a scegliere i numeri giusti e lei a gesti (no english) mi indica un altro sportello per le informazioni, yes yes english!

Vado a quello sportello, aspetto un po’ e poi l’impiegata mi fa segno di sedermi.

Solita domanda: “english?” e lei burbera fa un segno pseudo affermativo con la testa.

Le spiego, la mia patente scade ad Aprile, cosa devo fare?

Quella mi guarda e mi chiede – in portoghese – di farle vedere la patente.

Poi mi guarda e mi chiede – sempre in portoghese – se ho un documento PT di residenza.

Poi mi guarda di nuovo e dice, piuttosto seccata (ovviamente in portoghese): tu vivi qui da anni, hai un documento portoghese, è ora che impari la lingua, se non parli portoghese non ti dico niente, arrangiati! (il concetto è questo ma le parole che ha detto non erano poi molto diverse).

Alla fine mi allunga un foglietto e ci fa una freccia con la penna dicendo: vai qui e prenota.

Sinceramente mi sono sentita un po’ una m… fatto è che aveva ragione, in effetti dopo 7 anni dovrei parlarlo il portoghese, ma proprio non ci riesco, è più forte di me, non ce la faccio.

E questo sta diventando un problema.

Storie di autobus

Da quando ho ricominciato ad andare in ufficio sono tornate inevitabili anche quelle, le piccole cose che si vedono per strada, fra la gente.
E di gente matta ce n’è parecchia, lo sapevi?

E secondo me gli autobus sono un crogiolo dove di storie ne nascono a migliaia.

A volte ne ho parlato, ma succede solo a Lisbona o è una cosa generalizzata che capita dappertutto?

Ho la fortuna, coi miei orari, di prendere il Bus in momenti in cui il traffico è scarso, non sono mai affollati, per cui se c’è qualcosa di particolare si nota facilmente, se sai come guardare.

Per esempio, i diversi modi di guidare degli autisti, quelli incerti che rallentano e quasi si fermano col semaforo verde (o non si accorgono che è verde e restano lì, a fare che non si sa…), a quelli che si sfogano e corrono come pazzi, sballottando la gente nelle curve e frenando quasi di colpo quando arrivano alle fermate, che infilano i semafori rossi e sfrecciano negli incroci, come dire “fermi tutti che arrivo io”.

O che, quando sei un piccolo pedone fermo ad un incrocio, aspettando di poter attraversare, tagliano la curva quasi passando sul marciapiedi e ti fanno il contropelo, che se non ti sposti ti affettano.

Ma è soprattutto la gente dentro l’autobus che crea uno spettacolo che difficilmente potresti vedere in un teatro.

Il primo che mi viene in mente è stato una comica che, se non fosse stato evidente che i due personaggi non si conoscevano, sarebbe potuta davvero sembrare una recita.

I personaggi:
uomo sulla settantina, seduto sul sedile davanti, quello contrapposto alla “cabina” dell’autista, vicino alla porta di accesso dell’autobus.
altro uomo, sui 40 anni, nero, vestito modestamente, berretto in testa, in piedi al centro del Bus, nella zona dove ci sono i posti per carrozzine e disabili, di fronte alla porta di uscita.

Quest’ultimo ad un certo punto, nel bus semivuoto, fa una specie di grugnito da gorilla, a voce alta: “UGHHH!!”
Nessuno gli bada tranne il primo, che si gira verso di lui e gli fa un’occhiataccia, per poi rigirarsi.

Dopo 30 secondi, di nuovo “UGHHH!!!”

E quell’altro che si gira di nuovo, lo incenerisce con gli occhi che sembra dire “ma che cazzo fai, smetti subito”.
Il resto di gente del tutto indifferente.

Passano altri 30 secondi e di nuovo: “UGHHH!!!” sempre più forte.

E quell’altro si gira di nuovo, fa quasi per alzarsi con una faccia del tipo: se vengo lì ti meno!!

Io ridevo sotto i baffi, guardavo sti due che facevano sta pantomima e mi chiedevo… ma sono fuori?

Due o tre fermate dopo il secondo uomo scende, l’altro si precipita alla porta di uscita, evidentemente incerto se inseguirlo o no, e poi scende di corsa.

Li vedo da dentro l’autobus, il primo già a una ventina di metri che se ne va per i fatti suoi, l’altro che sta fermo lì alla fermata guardandolo, chissà se poi lo ha inseguito davvero 😀

Altra storia e altro personaggio, è il vecchietto strano che trovo quasi tutte le sere nell’autobus che mi porta a casa, quello delle 8:26 vicino all’ingresso del Pronto Soccorso del Santa Maria.

Un vecchietto minuto, direi verso gli 80, con la scoppola e radi capelli che spuntano sulla fronte, barba lunga di un paio di giorni, occhi spiritati, che parla da solo e si muove in continuazione.

Mentre aspettiamo l’autobus sembra un’anima in pena, sempre brontolando qualcosa di incomprensibile (almeno per me), come parlando con qualcuno che vede solo lui, si sposta dall’esterno della pensilina della fermata alle panche all’interno ma non si siede mai, come per un ripensamento.

Poi gira su sé stesso, come se stesse ballando, scuote la testa e va dritto sparato, veloce, all’esterno della pensilina, dove si appoggia per un attimo alla parete esterna o ad un palo della luce, brontola ancora, scuote la testa, gira ancora su se stesso e riparte, passando da un lato all’altro senza fermarsi.

Quando arriva l’autobus alza il braccio per fermarlo, mi guarda, alza il braccio di nuovo, non sia mai che l’autista non abbia capito…

Sale e si siede nel primo posto davanti, continuando a brontolare e a muovere la testa, come preso da una conversazione molto impegnativa.

E poi scende, quasi di corsa, alla fermata prima della mia, come se avesse un impegno urgente, e sparisce nella notte.

Sono già tre o quattro volte che vedo la stessa scena e ogni volta rido di più.

E per ora basta, adesso ho per la testa solo come programmare e cosa fare quando tornerò in Italia fra una decina di giorni, cosa portare, cosa mettere in valigia per Valentino, Ale, Leone…

Intanto però con mio nipote ho risolto il problema del regalo per mia sorella e mio cognato, abbiamo preso insieme una Smartbox che sembra carina, spero che saranno contenti.

Dunque: la felpa Omnipod e i goodies, la valigia, bottiglia per Ale, la torta….

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