Avevo rimosso quel ricordo, quel movimento delle spalle, lo avevo cancellato.
È come quando si vuol dire, alzando le spalle: ”che ci posso fare..” oppure ”non lo so, non mi importa”.
Solo che lei lo faceva lento, le spalle magre nude, su quel letto di ospedale.
Rivedere quel movimento in una situazione molto simile, Carlo sul suo lettino in terapia intensiva, come lei, le spalle nude, le braccia martoriate dagli ematomi di tante, troppe endovenose, come lei, le cannule delle flebo, il monitor cardiaco con gli stessi suoni, il sondino gastrico nel naso, come lei.
Tutto mi si è ripresentato in un attimo, come se non fosse passato quasi un anno, ho visto lei davanti a me.
L’ho vista alzare le spalle e ho sentito la sua voce che chiedeva ”perché.. perché.. perché?”
Non ce l’ho fatta, sono dovuta uscire di corsa da quella sala, sono scappata giù, all’esterno, e mi sono messa a piangere.
Vorrei essere fredda, insensibile, vorrei essere di pietra.
Mi sono sentita maledettamente sola.