Andare a spigolare in campagna vuol dire andare nei campi oppure nei frutteti per raccogliere quello che è rimasto dopo che il raccolto è finito.
Si trova quello che è rimasto, che siano pomodori o radicchio o pannocchie di mais o piccoli fasci di frumento oppure le ultime mele, pere, pesche o ciliegie rimaste sugli alberi.
Il bello è che è un reato, anche se minore, a meno che non siano presenti circostanze attenuanti ben precise, tipo “grave ed urgente bisogno”.
“Lo spigolare si riferisce alla sottrazione delle spighe rimaste dopo la mietitura; il rastrellare alla sottrazione dei residui delle erbe falciate; il raspollare alla sottrazione dei grappoli d’uva sfuggiti alla vendemmia. Presupposti del reato è che il fondo non sia stato interamente spogliato dal raccolto, perché in caso contrario, non si ha alcun reato, posto che i residui debbono considerarsi cose abbandonate. “
E ancora:
«Si applica la reclusione fino a un anno ovvero la multa fino a 206 euro, e il delitto è punibile a querela della persona offesa […] se il fatto consiste nello spigolare, rastrellare o raspollare nei fondi altrui, non ancora spogliati interamente del raccolto»
Questa definizione mi è venuta in mente pensando di raccogliere in questo post le piccole cose (e a volte non tanto piccole) che ho scritto nel tempo, negli ultimi mesi, cose che non sono mai diventate veri post, per motivi diversi.
Insomma sono andata a spigolare fra i miei stessi appunti sparsi qui e là.
Non è la prima volta che faccio una cosa del genere, è un modo per dare una pulita e chiudere cose sospese che sono rimaste indietro.
Sarà un post bello lungo, mi sa. Questo è il risultato.
Sogno – 17 ottobre 2018
Eravamo in una casa sui colli, poteva essere la zona di Abano o quella di Vale.
Nella sensazione però sembrava Toscana.
C’era la mamma che stava bene e come al solito era andata a fare il suo sonnellino al pomeriggio, c’era la zia Piera che come al solito sapeva tutto lei e lo zio Nenè da un’altra parte della casa in poltrona che leggeva.
C’erano Adriana e Franco.
La mamma quando è andata a letto ha cominciato a fare un rumore come un materassino che si sgonfia.
Adriana mi ha detto di chiamare la guardia medica e poi è arrivato un dottore alto alto magro magro con gli occhialetti vestito fine 800 insieme a 2 altre persone e uno sembrava un prete con l’olio santo e l’altro un becchino.
Al momento di dare i nomi Adriana aveva cominciato a dare i dati di Massa ma la zia Piera ha detto che era meglio dare info locali, la via non so se è stata detta ma il posto era San qualcosa al Chiampo o Campo.
Io stavo male, ero triste, ho abbracciato Adriana e le ho detto che la mamma stava morendo.
Poi mi sono guardata intorno e vedevo gli zii e la mamma e sapevo che loro entro un anno sarebbero morti tutti e tre.
Sapevo tutte le date e una era il 14 agosto, perché ?
Poi sono andata “in paese” con qualcuno (sembrava Carmela, una mia collega in TP) forse in farmacia o da un altro medico, il paese era turistico, c’era gente che fotografava dappertutto e negozietti di souvenir.
Poi mi ha svegliato Roberta con whatzapp!
Un pezzetto alla volta – 22 dicembre 2018
A giugno avevo scritto di Gigi, di come se n’è andato mangiato via da quel tumore.
Il 30 agosto la zia, finalmente e giustamente, divorata dai suoi anni e dai suoi tanti dolori.
E l’anno non poteva finire così, un anno di pezzi persi per strada in molti sensi.
Un altro pezzo del mio passato se n’è andato qualche giorno fa, senza clamore perché lei era davvero parte di un passato dimenticato e lasciato alle spalle.
Ma un passato che è esistito, comunque, lei era, pur non potendola definire famiglia, parte di quella rete che si genera vivendo.
Non la vedevo da più di 30 anni.
Per qualche tempo era stata argomento di conversazione per molti motivi soprattutto legati ai problemi con suo marito, mio cognato Giorgio, che veniva da noi e spesso si fermava per giorni, per non tornare da lei.
Succede, spesso, matrimoni che non funzionano e che si trascinano, a volte senza chiedersi davvero perché e a volte perché non si trova il coraggio di fare quel passo in più e di far finire il tormento.
Per Giorgio era così, arrivava a casa nostra arrabbiato ed esasperato da quella donna che aveva sposato e soprattutto dalla famiglia di lei che aveva altrettanto indissolubilmente sposato.
È durato così per un po’ e proprio quando sembrava che una decisione stesse per essere presa è arrivata la seconda figlia e tutta la bolla è scoppiata in niente.
(Abbiamo sempre sorvolato sulla perplessità generata da quella nuova gravidanza, in una situazione simile…)
Da allora non ho più visto neanche lui, abbiamo saputo della nascita di Giorgia ma non l’abbiamo mai vista.
Quanti anni sono passati da allora?
Parecchi mi sa, almeno una ventina probabilmente.
Lei, la moglie e la madre, Marilena, non è che ci piacesse molto. Lei e Giorgio si sono sposati in pompa magna col primo figlio in arrivo, Federico.
Da quel momento è stata una guerra fredda senza soluzione di continuità, motivata da ben poco in fondo, per quello che mi riguarda, solo per antipatia istintiva.
Lei, penso adesso, quanti anni poteva avere? 6 o 7 meno di me, credo.
L’ultima volta che l’ho vista è stato quando è nato Valentino e sono venuti a trovarci.
Poi mai più.
Perché ne parlo se è stata solo un’ombra nella mia vita?
Perché mercoledì scorso 19 dicembre il cancro ha portato via anche lei.
Per quanto praticamente estranea, per quanto la sua poca presenza abbia avuto un’accezione negativa, lei era, è stata, parte della mia storia.
Anche il negativo ci vuole, non fosse altro che per far vedere meglio quanto di positivo c’è.
A prescindere da quello che è successo poi.
E la sofferenza, vissuta e lasciata a chi ti ama, è sempre da rispettare.
Ciao Marilena.
Rientro – 25 febbraio 2019
È piuttosto difficile ricominciare dopo un mese di stop.
E ricominciare in un altro posto, per quanto non proprio nuovo per me, per un nuovo progetto, con persone che non conosco.
Dopo molti mesi di assenza sono di nuovo all’ingresso del City Center e non c’è nessuna faccia nota.
È come se non fossi mai stata qui. È perlomeno strano.
Sono un po’ in ansia per quello che succederà oggi, se ce la farò, anche se penso che non è il mio primo inizio, ne ho vissuti tanti ormai e finora me la sono cavata.
Passerà anche questo.
Metro – 14 marzo 2019
Bella la scena, il ragazzo vestito normale, pulito, chiedeva alla gente seduta se poteva dargli una mano, dargli qualcosa, io non ho capito niente di quello che diceva ma mi ha guardato, anche se non aveva chiesto niente a quelli in piedi in fondo alla carrozza.
Mi avrà visto frugare nella tasca, gli ho dato 50 cent, poi mi sono pentita, potevo dargli anche di più.
La bella scena è stata una ragazzina che sembrava un po’ ochetta, ridacchiava con una sua amica, guardava i capelli, la borsa, i vestiti, ballava a una musica tutta sua nel fondo della metro dov’ero anch’io.
Il ragazzo che chiedeva aiuto era già andato oltre, la ragazzina lo ha raggiunto con una piccola corsa, scansando gli altri passeggeri in piedi, e gli ha dato una moneta.
Il ragazzo l’ha guardata stupito, a parte perché la ragazzina era molto carina, col viso di una bambolina e lunghi capelli biondi.
Ma soprattutto per quella moneta.
Mi ha fatto sorridere la scena, e non solo a me.
Esiste ancora l’umanità.
Lisboa – 15 marzo 2019
Cielo azzurrissimo, odore di erba tagliata, merda di cane per la strada.
Questo stamattina andando con calma al lavoro a piedi, la primavera sta arrivando e non sono tranquilla, il lungo periodo di piogge non c’è stato ancora, ci sarà quest’anno?
Quanto lo pagheremo questo stupendo cielo azzurro e questo profumo dolce per le strade..
Merda di cane esclusa, ovviamente.
Metro – 23 marzo 2019
Stazione Metro Lisboa di Parque.
Questa è la traduzione:
Sono entrato in una libreria. Ho iniziato a contare i libri che possono essere letti e gli anni che avrò di vita. Non bastano! Non durerò nemmeno per metà della libreria!
Devono esserci sicuramente altri modi per salvare una persona, altrimenti … Sono perso.
26 marzo 2019
Scrivo per non dimenticarmi.
A parte il giorno particolare stamattina quando sono arrivata al lavoro ero persa, completamente confusa.
Non mi ricordavo il nome dei colleghi, ho visto la data e mi sembrava sbagliata, ho dovuto controllare il calendario per ammettere che poteva essere giusta.
Ho chiesto a un collega che anno era… 2019.
Ho dovuto concentrarmi per ricordare i nomi, Chiara, Vittorio, Susanna, Angelo… Francesco non riuscivo a ricordarmelo proprio.
Poi con le prime chiamate tutto si è normalizzato ma ero anche un po’ preoccupata.
3 aprile 2019
Domani sono a casa, perlomeno dal lavoro. Ho un po’ di cose da fare, andare all’ambasciata per la carta d’identità, la visita dall’otorino domani pomeriggio.
Sarà sicuramente una giornata piena ma sarà una vacanza in confronto a venire al lavoro.
Sono combattuta su questo lavoro.
Non è difficile, non è pesante, ho imparato a gestire quasi tutto in modo perlomeno decente, ma non so perché continua a non piacermi.
Non è più questione di chiamate o no, non so cosa sia di preciso.
La sera mi sembra di parlare sempre con le stesse persone e di ripetere sempre le stesse cose.
E la voce se n’è andata da un bel pezzo.
Mille volte, tipo catena di montaggio, ma senza un risultato finale.
Mi continuo a dire che ci vuole tempo.
E oggi, domenica, ormai sera, ormai ora di mettersi a nanna in previsione della settimana che sta per iniziare…
Come al solito i 2 giorni a casa sembrano troppo corti.
Ho finito di spigolare, ho archiviato gli appunti sparsi, ho tenuto da parte altre piccole cose che voglio ampliare e completare, questo pout pourri non è venuto poi male.
Domani ricomincerò a scrivere.