Voglio scrivere di possibilità e opportunità.
Voglio scrivere di storia, la mia storia, degli ultimi anni.
Voglio scrivere perché, quando penso a quello che sta succedendo, mi si riempiono gli occhi di lacrime.
Voglio scrivere della fine anno 2011 quando a 2 giorni dalla scadenza del sesto contratto con Comdata mi è stato detto: tu ci lasci.
E della rassegnazione, la disillusione, la resa all’inevitabile, il senso di totale fallimento, che quelle 3 parole hanno portato.
Sì perché restare da un giorno all’altro senza lavoro, senza prospettive, senza futuro, a 55 anni, è dura, molto dura.
Nei miei ricordi in quel momento ero solo frastornata, mi dicevo chissà, magari domani arriva di meglio, magari la prossima volta sarà meglio, magari…
Sai la storia del “si chiude una porta e si apre un portone…”.
Ma mi dicevo anche (mio malgrado, molto più realisticamente) che a quel punto le mie prospettive erano molto molto limitate, che ero salita all’altezza massima a cui sarei potuta arrivare e che tutto il resto era solo un lento precipitare verso un fondo da cui non sarei potuta risalire più.
Non sapevo ancora cosa mi aspettava, i sette anni che sono passati da allora sono stati davvero, in buona parte, quello che avevo immaginato che fossero.
Un anno di disoccupazione, coi soldi che calavano sempre di più, solo ieri sera raccontavo a degli amici di quando mi sono trovata con 8 centesimi in tasca e il morale sotto terra.
Sembra banale, sembra venale, ridurre tutto a quanti soldi hai, ma è così che si misura la vita di questi tempi.
Le possibilità, le speranze partono quasi tutte da lì, non importa quello che hai nel cuore, non frega niente a nessuno quello che sai fare, quello che sei potenzialmente in grado di dare.
Quello che importa è la base economica da cui parti.
Ho parlato molte volte di dignità.
A quel punto, senza niente in mano, la dignità non mette il piatto in tavola.
E io non avevo niente, non ero niente, solo il mio fallimento, come persona oltre che lavorativamente.
Avevo perso.
Il resto è storia, più volte raccontata in queste pagine, i mesi e gli anni sono passati con variazioni dal basso al più basso, fatti di rospi ingoiati, sorrisi forzati, sogni sbriciolati, dolori grandi e tentativi a vuoto.
La mamma, Makko, i corsi di formazione, la mia vita intera chiusa in quella valigia sempre pronta, i lavoretti che pagavano si e no benzina e sigarette, la gratitudine per l’aiuto ricevuto da mille parti, sia da parte di chi te lo dava col cuore ma anche di chi non poteva evitarlo e lo mostrava come un dovere a cui non poteva sottrarsi.
In tutto questo i tentativi, i CV mandati a raffica, i giri per tutte le agenzie interinali di Padova e Ferrara, una ricerca continua e incessante di quella dignità che si allontanava sempre di più.
Tutto questo serviva solo a sottolineare che per me, ormai, non c’erano più occasioni, che per quanto io potenzialmente fossi in grado di fare nessuno mi avrebbe dato la possibilità di dimostrarlo.
2012, 2013, 2014, 2015… nel ricordo adesso li vedo come un flash, come se fossero anni volati e ridotti a qualche immagine, vedo come una pagina di calendario che riassume quegli anni in un grigio opaco con pochi punti in evidenza, la mamma in ospedale, il corso web, il periodo di dog sitter con Ike, il letto di Anna in cui dormivo cercando di occupare meno posto possibile, con la mia valigia sempre piena a pochi cm.
E poi è arrivata TP.
Ragazzi, potete dirmi tutto quello che volete di TP ma io non riuscirò mai a vedere tutto negativo, come moltissimi riescono a fare intorno a me.
TP mi ha dato quelle possibilità che io cercavo, mi ha dato l’occasione da cogliere, chi lo sa, forse perché in quel momento non riuscivano a trovare nessun’altro hanno chiamato me, proprio me, a quasi 60 anni, mi hanno dato l’opportunità di dimostrare che ancora in me qualcosa c’è.
Quando quel 10 gennaio 2016 sono arrivata qui ragionavo in termini di un anno, rimandando di un anno le decisioni sulla mia vita di poi, un rinvio della mia pena capitale, una pausa dal senso di fallimento di tutta la mia vita.
E un anno è moltissimo tempo, io che avevo lavorato un anno in Comdata con 6 contratti rinnovati di 2 mesi alla volta.
Un anno è molto lungo, in un anno possono succedere tante cose.
E mi ricordo come fosse adesso quando Vincenzo mi ha detto che mi avrebbero rinnovato il contratto per un altro anno, sono scappata fuori dal floor e mi sono messa a piangere come una bambina.
Vince mi ha raggiunto fuori e mi ha abbracciato.
Potete dire quello che volete anche di Vincenzo ma per quell’abbraccio io gli vorrò sempre bene.
Adesso guardandomi indietro vedo bene come questi anni a TP sono trascorsi, il lavoro è stressante e a volte ti fa andare via di testa, la voglia di cambiare e di crescere a volte sembra scoppiare e la frustrazione di non poterlo fare è corrosiva.
Ma adesso, oggi, dopo questi 2 anni e mezzo, mi guardo intorno e vedo oltre a tutto questo.
Vedo un posto dove posso fare quello che so fare, e penso di farlo quasi sempre discretamente, non dico bene, perché a volte il mio istinto di ribelle mi fa andare un po’ oltre a quello che vorrebbe l’azienda, ma discretamente, quello che basta e magari anche un po’ di più.
Vedo un mondo stupendo intorno a me, Lisbona è una meravigliosa città, qualche volta mi fermo, per la strada, mi guardo intorno, le grandi vie, gli alberi fioriti oppure carichi di arance o limoni, le rose in dicembre, il luccichio del fiume che è un mare, e quel cielo enorme, altissimo, quel cielo che mi ha conquistato da subito, Lisbona è la sensazione di essere a casa.
E per me che non ho una casa e ho vissuto sballottata qui e là gli ultimi anni è una sensazione meravigliosa.
E poi, ultime perché le più importanti, le persone.
Quello che non avrei voluto si è avverato, senza cercarlo o forzarlo, anzi, persone meravigliose a cui voglio bene come se fossero miei figli, fratelli, sangue del mio sangue.
Eli è il punto di riferimento, la costante, il punto di forza, la figlia che avrei voluto avere, l’amica su cui puoi contare, senza di lei, non ho nessun dubbio su questo, tutta la mia vita qui sarebbe diversa.
Valentina e Massi, che se ne sono andati ormai da mesi, non se ne sono andati davvero mai nel mio cuore, Roberta con la sua insofferenza, irriverenza, forza e debolezza, la sensibilità, l’umanità, l’affetto.
E poi… ussignur quante persone mi sono passate vicino in questo viaggio, a molte mi sono affezionata e poi le ho perse, altre ne sono arrivate altrettanto belle e mi sto corazzando il cuore perché so che anche loro prima o poi se ne andranno.
Ma questo non diminuisce il bene che voglio loro.
Sono passati praticamente 3 anni da quella telefonata di TP, e guarda come questi 3 anni hanno riempito la mia vita.
E adesso c’è la svolta, la conferma, la riaffermazione… oppure no.
Adesso c’è il 3° anno di contratto che finisce e poi? che succede?
Succede che o mi cacciano via… oppure no.
Succede che la mia vita può cambiare, di nuovo, e tornare ad essere l’incognita che era 3 anni fa, oppure succede che si mette un punto fermo, un diverso punto di partenza con più sicurezza, un piedistallo da cui, se non faccio cazzate, nessuno mi fa scendere, fino a quando sarò troppo vecchia e rincretinita da non poter più andare avanti.
Arriverà quel momento, ovvio, ma fino ad allora potrò dire che la mia dignità non è solo una parola vuota, è qualcosa che mi sto guadagnando un giorno dopo l’altro e che la vita, così, vale davvero la pena.
Guardo Lisbona con occhi diversi, adesso, guardo gli amici, i colleghi, i compagni di strada, con occhi diversi.
Si perché adesso, a 61 anni suonati, contro tutto e tutti, contro la logica e la vita stessa…
Contratto indeterminato, non vi liberate più di me perché, adesso, io ho vinto!
Leggo e mi commuovo!
Ti ho conosciuto poco, è vero, ma le anime pure si riconoscono all’instante!
Non mollare mai!
Sei davvero una forza cara Luisa!