Piccole cose da scrivere

Spesso ultimamente la vita sembra così piatta, vuota, sempre uguale a se stessa, che senti di non aver niente da dire, che non c’è più niente da raccontare.

Altre volte invece ti guardi intorno, nel piccolo e banale quotidiano, e vedi attimi, flash, piccoli istanti che vorresti poter fermare e cristallizzare, per non dimenticarli.

Niente di che, magari un sorriso in ascensore o un grazie che non è il ripetitivo “obrigado” che senti qui mille volte al giorno, un grazie che sa di riconoscenza, rispetto, sincerità.

Ma sfugge via, un secondo dopo sei già da qualche altra parte e il mondo continua a correre e tu con lui, non puoi e non vuoi fermarti a pensare.

Molto spesso il rituale del mattino andando al lavoro è anche quello, fermarsi a pensare.

A parte il risveglio, il caffè desiderato che spesso non c’è e non hai voglia di fare, i momenti al pc a fare le piccole cose del mattino, la doccia e la colazione, la sveglia che avvisa che è il momento di vestirsi e partire…

Poi esci di casa, lo zainetto sulle spalle, la strada che attraversi e la discesa alla stazione della Metro…

Il viaggio sempre, possibilmente, nello stesso angolo del treno, tanto è una fermata, poi il cambio, dalla verde alla gialla e altre 2 fermate, il tapis roulant che ti da la sensazione di correre senza darti il fiatone, l’orologio che quasi sempre ti dice che non sono neanche le 12,30, hai tempo…

Il caffè al bar della stazione, quello si, sempre, ormai i ragazzi mi conoscono e dopo il boa tarde già c’è il piattino con la bustina di zucchero sul banco e i 65 cent pronti con la tessera dove fanno il timbro…

L’uscita dalla metro, subito la sigaretta e poi il muretto.

Quello è il momento per fermarsi a pensare.

Mi siedo su quel muretto, molto spesso già pieno di gente ma quasi sempre un posticino per me lo trovo, mi guardo intorno e vedo…

Quelli che arrivano dalla Stazione e vanno verso il City Center per iniziare il lavoro, come me.

Quelli che fanno la pausa pranzo mangiando quelle cose che da noi si chiamerebbero piadine, qui non lo so, piene di non so neanche cosa e non voglio saperlo, quelli che fanno gruppetto a ridere e chiacchierare e il profumo occasionale del tizio con la canna in mano che ti passa davanti.

Le file e file di bottiglie di birra, rimasugli di quello che la sera prima deve essere stato parecchio casino, e carte, barattoli, cicche per terra, piccioni che elemosinano quello che trovano e a volte litigano fra loro per una patatina sulle scale.

Ragazzi e gente dappertutto, voci in dieci lingue diverse, inglese, tedesco, olandese, francese, italiano, portoghese, russo, sloveno e altre che potrebbero essere svedese, norvegese o danese o chi lo sa.

Ogni tanto un ciao o un hello da qualcuno che passa e ti riconosce, un sorriso, una parola al volo.

Vestiti e capelli di tutti i colori, il caldo di questi ultimi giorni di ottobre ha mantenuto l’abbigliamento estivo affiancato dall’occasionale giubbino o sciarpa, e tu guardi tutto e dappertutto e continui a stupirti.

Ti stupisci perchè… beh perchè sei qui, in mezzo a loro, in questo angolo di mondo che è tutto tranne che banale e normale, un’isola dentro la normalità che ha una normalità tutta sua, e fai parte di questo mondo, a modo tuo, anche se per quello che sei, per come sei, sei la più improbabile presenza che chi viene da fuori potrebbe aspettarsi.

A volte mi chiedo “ma io che ci faccio qui ?”

A volte tutto questo mi fa paura, vorrei mettermi in un angolino per sentirmi sicura, protetta, ma non c’è nessun angolo così in questo posto così lontano da tutto quello che conoscevo, che era il mio posto, una volta.

Ecco, in questi giorni la sensazione di paura è frequente, le persone nuove che arrivano a riempire il floor, gli spazi sempre più ridotti e raffazzonati, le regole che cambiano in corso d’opera e tu non lo sai, lo scopri quando hai già sbagliato e puoi solo cercare di non sbagliare ancora.

L’incertezza, la sensazione di dover essere un pesce nell’acqua, dopo quasi 2 anni, ma non ti ci senti, di essere sempre la voce di contralto che può diventare in ogni momento una stonatura.

E la stanchezza, indefinita e grande, pesante.

E tutto questo nonostante il contratto rinnovato, quelle righe e parole che dicono “ok, ci vai bene, un altro anno qui ci puoi stare”.

..

Questo è un flash, un mio modo di rendere in parole le sensazioni e gli stati d’animo di questo periodo, questo ed altro avevo voglia, o meglio bisogno, di scrivere.

Il mio secondo inverno a Lisbona sta per iniziare.

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