How do you feel?

Lo dicevo già nell’altro post, in questo inizio anno c’è una piccola (ma non poi così piccola, in fondo) novità che spezza la monotonia, che interrompe quello che nella mia sensazione è un limbo durato quasi tre anni.

Sono tornata a lavorare in ufficio.

Traumatico, allucinante, scioccante.

Se devo essere sincera non è che avessi pensato più di tanto a come sarebbe potuto essere, fino a 15 giorni fa era un’ipotesi, qualcosa che sarebbe dovuto succedere prima o poi, ma senza nessuna certezza.

E invece è successo, come dicevo, il 13 gennaio scorso, solo 5 giorni fa ma mi sembra già almeno un mese.

Confusione, questa è la prima parola che mi viene in mente, gente che parla, che si muove intorno a me, voci continue, che distraggono e destabilizzano.

Il tempo: quello che da casa gestivo a modo mio adesso è regolarizzato, le pause sono proprio pause coi minuti contati, i tempi per arrivare e tornare sono vincolati e fissati, le attese dell’ascensore, dell’autobus o della metro, il percorso di quasi un km dalla fermata all’ufficio.

La dicotomia all’interno della giornata di lavoro, dalle 11 quando inizio fino alle 17 è gente, confusione, casino, dalle 17 quando tutti se ne vanno alle 20 quando finisco è silenzio nell’enorme floor deserto, agorafobia, solitudine, in pochi giorni sono tornata indietro di 6 anni quando facevo il turno 13-22 da sola in ufficio, solo che allora ci ero abituata.

Sono spiazzata, non riesco a gestirmi mentalmente ed emotivamente, divento incerta nel fare cose che ho fatto tutti i giorni per mesi, insicura nel parlare con la gente (in inglese, che non aiuta), impaurita, quasi angosciata, quasi in panico.

E il risultato è una stanchezza fisica e mentale che pesa come un macigno, arrivo a sera quasi incapace di fare le piccole stupide cose che ho sempre fatto, qualcosa di cena, le sigarette, anche solo staccare la mente e riuscire a vedere un film fino a crollare per dormire diventa una fatica

È una fatica anche scriverlo, oggi che sono in day off e dovrei rilassarmi un po’ (se non ci fossero degli operai che montano un’impalcatura fuori della mia finestra sarebbe meglio) riesco a malapena a non farmi venire le lacrime, ingoio un groppo in gola.

Almeno qualcosa di buono c’è, nel weekend mi hanno concesso di lavorare da casa, ma ragazzi, che difficile, non avrei mai detto.

E adesso mi spiego meglio i vari surveys che TP ha mandato negli ultimi mesi, quelli che ogni volta ho cancellato, col titolo: How do you feel?

I feel shitty, guys, really really shitty!!

E cerco di aggrapparmi ad altre cose, più reali e tangibili, per tenere i piedi per terra e non sbarellare.

L’asciugatrice che si è rotta (di nuovo) al punto che Sandra ha portato le sue cose in lavanderia, il pacco di Mammapack che è arrivato dopo che si era danneggiato nel trasporto, e dato che già ci avevano mandato un altro pacco sostitutivo alla fine ci è arrivato tutto doppio, ho una marea di biscotti e confezioni di panna 😀

Adriana e Franco che sono andati una settimana a fare i turisti a Padova (…) solo che erano malati tutti e due per cui alla fine non hanno visto nessuno, neanche Valentino.
Spero che almeno abbiano visto (un po’) Padova.

Victoria, la coinquilina spagnola, che appena ha capito che non ero a casa tutto il giorno ha pensato bene di usare le cose mie, non sarebbe un problema se usasse le mie tazze o i miei contenitori e poi li rimettesse al loro posto, che discorsi, è che se li tiene in camera sua o li lascia in giro sporchi in cucina per cui quando mi servono non li trovo.
Altre cose che dovrò tenere in camera mia, tutte cose che altrimenti dopo un po’ non troverei più.

Poverina, lei è carina anche se fatta a modo suo, ma si era anche dimenticata di dirmi che era arrivato il biglietto di auguri di Natale di Klara, che sia che si fa troppe canne?

Vita quotidiana, a questo mi devo aggrappare, finché non mi riabituo a vivere nel mondo, com’era prima.
Ci vorrà del tempo, mica corro più come una volta, c’ho un età io, eh…

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