Dicembre 2017, Lisbona

Non so perché ho qualche remora a scrivere di questo periodo.

Eppure, ne avrei di cose da dire, ho frasi e immagini che mi si definiscono nella mente giorno per giorno.

Ma questo è un periodo… sospeso.

Sarà il Natale che arriva, sempre una fase dell’anno immancabile quanto transitoria.

Sarà il lavoro in continua evoluzione, da settembre sempre gente nuova in arrivo, sempre quello che mi circonda in continua mutazione.

Non si fa in tempo ad abituarsi alle facce nuove che ne arrivano altre, nuove personalità, storie, modi di fare.

Li vedo integrarsi nel gruppo e diventare parte del quotidiano ma non si fa in tempo a sentirsi nel “quotidiano” che subito cambia di nuovo e tutto ricomincia.

Questo si è già ripetuto, quante? 5 o 6 volte in 3 mesi.

E si ripeterà, penso per l’ultima volta, nei prossimi giorni.

Siamo passati da un gruppo che si conosce da più di un anno, per alcuni quasi 2, di una trentina di persone, a … gente.

Entro la settimana prossima saremo più di 100.

C’è chi se n’è andato, c’è chi ha cambiato ruolo, c’è chi ha cambiato turno, gli spazi sono quelli che sono per cui tutto è dispersivo, spalmato, sbriciolato.

E se c’erano delle sicurezze si sono mescolate al caotico ridisegnare del giorno per giorno.

Io cerco di stare dietro alle cose, di mantenere il mio posto nella fila, nel gruppo, ma le cose mi scappano, dovunque mi giro c’è qualcosa che è cambiato e suona stonato nell’armonia che c’era fino a poco tempo fa.

Forse sono io che ho idealizzato troppo, che ho creato il piccolo mondo e ci ho nuotato in mezzo come un pesce in un acquario, pensando che si, qualcosa sarebbe cambiato col tempo, ma lasciando la base immutata.

Non è così e mi sto un po’ perdendo.

In questi giorni ho proposto di cambiare ruolo, mi sono resa disponibile a rivoluzionare i miei ritmi acquisiti, perché ad un certo punto mi è venuta voglia di crescere, di fare un passo in più.

È stato troppo tardi, per il momento, ma è stato un verificare che i miei sforzi sono serviti a qualcosa, che quello che sono, quello che faccio e come lo faccio vanno bene e sono apprezzati.

Questo è stato quasi meglio del cambiamento che non avverrà, è stata una conferma, una nuova piccola vittoria della mia vita.

E di questo devo ringraziare chi mi sta intorno, chi ha avuto modo e voglia di conoscermi e vedere quello che c’è dietro le apparenze e apprezza quello che ha trovato.

Che posso volere di più?

A parte me e il lavoro ci sono altre cose che non sono il massimo.

Valentina, amica, coinquilina, una di quelle persone che ti fa dire “sono fortunata a conoscerla”, se ne va.

Alla fine del mese finisce il suo contratto in TP e ha scelto di non rinnovarlo, per mille ragioni che non sono eccepibili, è stata una decisione ponderata, ragionata, sicuramente sofferta e difficile, una scelta consapevole e a prescindere da quella che sarà la sua vita dopo di questo alla fine spero che sarà contenta di averla fatta.

Ma lascerà un vuoto immenso, nella mia vita come in quella di tutti quelli che hanno avuto a che fare con lei.

Lascerà anche rabbia, frustrazione, per tutto quello che non funziona e l’ha costretta a fare questa scelta, per tutto quello di buono che c’è e che la sua assenza porterà via.

Scherzando dico che un lato positivo c’è, mi prenderò la sua camera che è il doppio della mia, ma dormirei in terrazzino se servisse a farle cambiare idea.

Valentina, cazzo, non hai idea di quanto ci mancherai.

Dicembre a Lisbona, fine 2017, fine del mio secondo anno qui.

Come si sono complicate le cose, eh?

Sto cominciando ad odiare me stessa quando penso al passato ma è inevitabile frugare nel proprio armadio personale, fosse solo per fare un rapporto fra quello che era ed è stato e quello che è.

Spesso mentalmente allungo le braccia davanti a me per allontanare quello che non va e cercare di essere cosciente solo del qui-e-adesso.

E guardo il cielo cristallino di Lisbona, respiro a fondo il vento, ascolto i rumori e le voci, sento con i piedi sui cubetti di marmo bianco dei marciapiedi, la realtà di questa città così diversa ma ormai sempre più familiare, sempre più Casa.

A volte mi viene un magone che caccio giù a forza, non per un motivo particolare, è come un pugno che mi preme lo stomaco.

Ci sono tante cose che mi mancano, tante cose che vorrei ma che so che non potrò avere, non più.

Cerco di non pensarci e vado avanti, colazione la mattina, la strada per il lavoro e mi immergo fra la gente che mi circonda smettendo di pensare.

Meglio così.

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