Quello che è rimasto

Ovvero: quello che sono e come ci sono diventata

13 Febbraio 2014

Stamattina mi sono svegliata, come sempre, ultimamente, molto presto per andare a fare la pp e, come sempre, a seconda dell’ora ho pensato a cosa stavi facendo in quel momento.
Se sono le 5.30 ti stai alzando o facendo il caffè.
Se sono le 6 stai per uscire di casa, alle 6.30 sei per strada, alle 7.00 stai per arrivare al lavoro.

L‘avevo già scritto altre volte, mi pare.

Ma stamattina mi sono svegliata con un senso di introspezione, mi sono chiesta perché continuo ad averti come punto di riferimento, nonostante tutto.

E mi sono resa conto che ho fatto di te la mia attuale dipendenza, quasi patologica.
Mi sono resa conto che, senza sceglierlo e senza volerlo, ho fatto di te il mio punto di riferimento.

Tu come sei, la tua vita, il tuo quotidiano come me l’hai sempre fatto vedere o raccontato, fino a pochi mesi fa.

E il fatto che adesso che le cose sono cambiate, che tu non sei più nel mio quotidiano e ho sempre meno riferimenti di te, è quello che mi fa stare male.
E mi sono chiesta il perchè.

Un po’ di tessere del mosaico si sono incastrate, come per magia.
Sono tornata indietro a tutto quello che ho perso e all’effetto che ha avuto, per tutta la mia vita.

Mi rendo conto che tutti lasciamo per la strada alcune cose, è normale, è la vita.

Penso, da banale psichiatra autodidatta, che l’inizio sia stato con mio papà.
Senza mai confessarlo davvero, io ero arrabbiata perchè se n’è andato, perchè è morto, e nei miei 9 anni cosa potevo fare?
L‘ho dimenticato, lo ho chiuso fuori da me stessa, oggi penso che fosse per non ammettere il vuoto che aveva lasciato dentro di me, per non ammettere quanto mi mancava.

Dopo di allora la mia vita non è stata poi così male, quasi banale.
La scuola, l’adolescenza, le prime cotte per ragazzini che neanche sapevano che esistevo, i primi ragazzi.
Ma sempre con delle sicurezze alle spalle, la mia casa, mia mamma, degli affetti certi, incancellabili, assoluti.

Poi storie più importanti, mio marito, la mia famiglia, mio figlio.

Solo che dopo qualcosa si è spezzato e molte delle mie certezze sono crollate come un cristallo che si sbriciola cadendo sul pavimento.
Quando il rapporto con mio marito ha iniziato a diventare difficile io sono scappata dalla realtà, scrivere era la mia unica certezza, l’unica cosa che non poteva ferirmi.

E poi è arrivato il pc… e Winmx.

Incontrare, anche solo virtualmente, altre persone mi ha aperto nuovi orizzonti, altri punti di vista che non avevo mai immaginato.
E lì ho conosciuto alcune persone che sono diventate il mio perno, che mi hanno dato la spinta a muovermi dal mio limbo.

La vita reale in quel periodo era un fallimento totale, avevamo chiuso il negozio, venduto casa e comprato, con un mutuo altissimo, demenziale, la casa in campagna, quella che era il sogno di mio marito ma non certo il mio.
Eravamo senza soldi, senza lavoro, senza riscaldamento e nell’ultimo periodo senza corrente.

Io man mano che le cose peggioravano mi chiudevo sempre più in me stessa, lasciavo aperto solo il mondo virtuale e mi ci aggrappavo, era il mio solo modo di respirare, niente altro mi toccava.
Mio marito tornava a casa ubriaco un giorno su due, mio figlio adolescente con problemi di adattamento e crisi di aggressività, la mia vita andava a rotoli e io non reagivo, mi chiudevo in me stessa… e al pc.
Ho smesso di mangiare, di fare qualunque cosa.

In winmx avevo conosciuto molte persone ma una in particolare, Paolo.
E’ stato lui a darmi la spinta iniziale, a farmi capire che era il momento di rialzare la testa e riprendere a vivere, o non vivere affatto.

Sarà sempre nei miei ricordi una mattina, ero in bagno ad accendere la stufa e ad un certo punto pensavo di farla finita.
Avevo le mie gocce di Xanax che prendevo per le palpitazioni, avevo pensato di bere tutto il flacone e finalmente dormire, e sono stata ad un passo dal farlo.

Ma mentre ero lì, seduta per terra davanti a quella stufa che non voleva accendersi, mi sono chiesta perché.
Perché dovevo buttare la mia vita, perché non avrei dovuto almeno tentare di riprendere in mano i fili e ripartire, in qualche modo?

Paolo me lo diceva sempre e finalmente, in quel momento, ho davvero ascoltato, mi sono alzata da quel pavimento freddo e ho iniziato a muovermi.
Uscire di casa, non lo facevo da settimane, cercare un lavoro, anche solo cercare era un inizio.

In ogni caso Paolo era diventato il mio punto di riferimento.
Non ero innamorata di lui, non nel vero senso del termine, non volevo una storia con lui, ma per me era fondamentale che lui ci fosse, mi diceva che mi teneva sempre per mano, che mi teneva in tasca e che per me ci sarebbe stato sempre, e a me bastava.

Non sono rinsavita tutto in un colpo, ovviamente no.
In quel periodo probabilmente mi comportavo in modi che adesso non riconoscerei, neanche so bene com’ero con le altre persone, ero ancora confusa e sconclusionata, ma è stato un inizio.

Il risultato di questo è che, per qualcosa che ancora adesso non so ricordare o definire, devo aver detto o fatto qualcosa che lo ha fatto infuriare e ad un certo punto, da un giorno all’altro, lui se n’è andato, è letteralmente sparito.

Dire adesso come io abbia affrontato i primi due mesi senza di lui non avrebbe senso, so che io non esistevo più, ero tornata ad essere l’ombra che ero prima di conoscerlo.
Ma qualcosa in me è rimasto, qualcosa che piano piano mi ha fatto fare i primi passi.
Mi dicevo che era per lui, anche se lui non mi voleva più intorno io continuavo a non volerlo deludere.
Mi dicevo che, se mai ci si fosse ritrovati, avrei voluto dirgli “grazie a te ce l’ho fatta!”

Un paio di mesi dopo che lui era sparito ho conosciuto Marco.
Lui ha ripreso in mano quello che restava di me e mi ha aiutato a riprendere il mio cammino, ad andare ancora avanti con quello che avevo iniziato.
E Marco era ed è una presenza costante, continua, ancora adesso, dopo 8 anni.

Anche a lui per un po’ mi ero aggrappata come avevo fatto con Paolo prima, anche lui è stato un punto di riferimento, ma diverso.
Lui era in sottofondo, lui dava la spinta ma io camminavo sulle mie gambe, lo facevo per me stessa, non per lui.
Ma anche con lui non so cosa sarebbe successo se lo avessi perso.

Per un periodo avevo avuto paura, molta, di perdere la sua amicizia.
Lui aveva iniziato una storia con una mia amica e io sono andata in panico.
Paura dell’abbandono… di nuovo.

Il giorno di ferragosto 2007 con 60 euro in tasca, senza mangiare per 3 gg, sono partita col mio Cincent e sono andata a Roma, avevo le chiavi di casa di Marcolino, ho dormito da lui (non c’era nessuno) e il giorno dopo ho trovato il modo di contattare Marco e di incontrarlo a Perugia.

Non avevo nessun’altro modo di sapere, se non guardandolo negli occhi, se le cose fra me e lui sarebbero cambiate e dovevo saperlo.
A posteriori mi sento ridicola, a dire la verità lo eravamo tutti e due.

A piangere (tutti e due) seduti su una panchina in quel parco con le fontane a Ponte San Giovanni, a dirci che la nostra amicizia non sarebbe mai finita, semplicemente non poteva finire, qualunque cosa ci fosse successa.
E finora così è stato, la nostra amicizia rimane, forse non come prima, ma lui per me c’è, e io per lui.

Ma è comunque una cosa diversa, e nonostante lui io mi sentivo lo stesso persa, sola.

Ho conosciuto altre persone, di volta in volta sentivo che erano amici su cui potevo contare ma non come era stato con Paolo, non erano per me un punto di riferimento.

E poi sei arrivato tu.
Neanche tu per me eri poi così speciale, all’inizio.

Ma sei entrato nella mia vita come una slavina, hai travolto tutte le mie poche piccole certezze di poter camminare da sola, per me stessa.
Mi hai aperto il cuore, mi hai insegnato ad amare di nuovo.
E non col tempo, in un turbine.

Io che frenavo tutta la mia immaginazione, io che escludevo di poter di nuovo credere in qualcuno profondamente.
Mi hai catapultato in qualcosa di talmente coinvolgente che ho, senza volerlo, spostato l’ago della mia bussola.
Mi hai fatto credere in te al punto che, di nuovo, non vivevo per me stessa, non sceglievo per la mia vita, lo facevo per te, perché tu fossi orgoglioso di me.

Tu non potevi immaginare il danno che stavi facendo, vero?
Tu coi tuoi giochi, le tue parole d’amore, le tue coccole, i tuoi pensieri.

Per te ho cercato e trovato lavoro a Milano, per te sono venuta a stare lì e ho ricreato il mio posto, le mie radici lì, pur sapendo che c’erano limiti che non dovevano mai essere superati, avevo l’illusione che 50 km fossero meglio di 300.

E le giornate passate insieme, anche a mesi di distanza una dall’altra, erano tutto quello che avrei chiesto dalla vita, erano il massimo.
Tutte lo sono state, una per una, erano quasi troppo per me.
Erano la conferma che potevo, si perfino io potevo, avere qualcuno con cui stare davvero bene e far stare bene qualcuno con me.
Senza chiedere niente di più, senza volere una storia diversa, con sesso, annessi e connessi.

Mi bastava, mi è sempre bastato, sentirti vicino a me.

Per questo ho bisogno della tua presenza, per dare a te quella parte di me, nel bene e nel male, che è tua, che ti sei preso, credo senza volerlo davvero, e che ormai non puoi più darmi indietro.
Per questo ogni volta che non ci sei mi fai così male.

Adesso è questo che mi stai togliendo.

Mi stai facendo ricadere in quel vuoto assoluto che già ho passato, negandoti stai facendomi a pezzi.
Ieri ho preso quasi paura di me stessa, mi sono ascoltata dire nella mia mente che se tu non sei più con me come prima non ha neanche senso che io viva.

Sul momento mi sono data della stupida ma non è del tutto falso, sinceramente non me la sento di continuare a vivere se devo portare un’altra volta una ferita così.
Non so se ne sarei capace e non so se ne vale davvero la pena.

Per cosa? per chi?
Per me stessa?
è una cazzata, io non valgo niente, la mia utilità è pari a zero.

Per chi mi vuole bene?

Amici che sicuramente soffrirebbero ma la loro vita non cambierebbe se io non ci fossi, mia sorella e mio cognato che sono stufi di avermi fra i piedi, giustamente direi.
Mio figlio che ha la sua famiglia e ha la sua strada, non ha bisogno di me, altrettanto giustamente, con lui la mia parte è finita.

Resti tu, che ancora non sei sparito del tutto, che ancora, quando capita, mi dici “conta su di me”
solo che quando conto su di te tu non ci sei.
Ammetto, non per tua scelta, non scegli se esserci o no… non ci sei neanche per scegliere!
Forse davvero preferirei che anche tu te ne andassi del tutto anche se solo l’idea mi dilania dentro.

Sicuramente vorrei che tu fossi vicino a me, com’eri prima.

Mi spiace, scrivendo così mi sembra in qualche modo di ricattarti ma non è mia intenzione, te lo assicuro.

A parte che già so che non cadresti nel ricatto, sei troppo indipendente, metti troppo le distanze per farti coinvolgere in qualcosa a cui, sono sicura, non credi.

E comunque, ti importerebbe davvero ?

Quello che ho scritto è solo un ennesimo, quasi estremo tentativo di farti capire cosa sono, cosa hai per le mani quando sei con me.
Come vorrei che davvero servisse al suo scopo.

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