2021: 2 mesi a casa – 5 – Montagna

Da prima di quanto io ricordi so che nella mia famiglia c’è stato sempre un grande amore per le montagne.
La montagna nella mia famiglia sta nel DNA, pur essendo noi gente di pianura.

La mia memoria di bimba sa, per sentito raccontare, che mio padre, appena ritirata la sua nuova patente, ha preso la macchina – quale non ho idea – e il primo posto dove e andato sono state le Scale di Primolano.

Si chiamavano così perché erano una difficile serie di stretti tornanti che si arrampicavano su per la costa della montagna per sbucare su su fino ad Arsiè e al suo lago artificiale.
(a dire la verità non so se allora il lago esisteva già, adesso c’è, ormai da molti anni)

Adesso praticamente le Scale di Primolano non esistono più, credo siano solo per traffico locale, insomma ci passa solo chi abita su di lì.

Sono state sostituite da una facile strada a 4 corsie, con una serie di gallerie, che sorvola la valle e ti porta lassù senza quasi che tu te ne accorga.

Ma allora, e per molti anni, le Scale sono state l’unica strada che portava dalla Valsugana a Feltre.

Tornando alla storia della mia famiglia, la voglia di montagna non se n’è andata con mio padre, mia mamma forse per un suo modo di sentirsi ancora vicino a lui, ci portava a fare dei giri lunghissimi su quelle montagne che non so dire se erano le stesse che girava con lui, non credo, ma che ci hanno portato a vedere in lungo e in largo buona parte delle Dolomiti bellunesi e trentine.

Mia mamma…

Agosto 1971

Lei non guidava quando c’era papà.
Lui era di mentalità antica e non voleva che lei prendesse la patente: “basto io per dove dobbiamo andare” era il suo ragionamento.

Ma dopo che lui se n’è andato la mamma ha dovuto prendere quella benedetta patente, che fosse per andare a fare la spesa o portarci a scuola o per fare qualche giro, e lei ha sempre detto che è stato un grosso sacrificio per lei doverlo fare.

Ma poi ci ha preso gusto, eccome!!
Le piaceva guidare, e molto, oh sì che le piaceva, la mitica FIAT 850 blu scuro.

Mi sembra di essere nei suoi panni, o semplicemente ho ereditato da lei la sensazione di libertà che ti dà partire con la tua macchina ed andare.

Scusa la parentesi, dicevo…

Nei primi anni successivi alla morte di papà lei aveva preso il suo posto nell’amministrazione dell’azienda e d’estate mandava in vacanza per un paio di mesi me e mia sorella in montagna con la nonna (sua mamma).

Era una cosa che facevamo anche prima, fin da quando ho ricordo, con papà che ci raggiungeva nel fine settimana, dopo è stato il turno della mamma di raggiungerci al sabato e domenica e durante le ferie di agosto.

Quando eravamo piccole, prima, andavamo in un paesino vicino ad Asiago (Camporovere), un’oretta di macchina da Padova (adesso, con autostrada e auto di adesso… forse allora saranno state 2 ore, stiamo parlando degli anni 60).
Dopo diciamo che abbiamo fatto il salto di qualità, siamo passati dalle dolci semicolline dell’altopiano di Asiago alle montagne vere, quelle del Cadore.

Marcora – Rif Slataper 31-8-72

E per 3 o 4 anni di seguito le nostre vacanze estive sono state a Chiapuzza, frazione di San Vito di Cadore, a circa 10 km da Cortina d’Ampezzo.

Bel paesino tipicamente montanaro, coi suoi boschi di conifere, il torrente su cui andavo a giocare e fingevo di perdermi (il Boite), il laghetto circondato dal bosco
e le montagne, quelle vere, tutte intorno, il Pelmo, l’Antelao, il Marcora…

Se tu mi parli di montagna quelle sono le immagini che mi saltano agli occhi e che per me saranno la definizione istintiva.

Ricordiamoci che si parla di quando io avevo dagli 11 ai 14 anni (1968-1972).

Beh in quelle estati a mia mamma venivano in mente dei “giretti” che duravano dalla mattina alla sera, lei, mia sorella e io.

Questi “giretti” erano, in sostanza, una continua scarrozzata con la storica 850 (che adesso non potrebbe viaggiare neanche su una giostra), praticamente tutto il giorno, a passare da un passo all’altro, da una montagna all’altra.

Mi ricordo come se fosse ieri lei che raccontava: abbiamo fatto 5 passi oggi!

San Vigilio – Rifugio Pederù/Rifugio Fanes 22-08-1970

Erano spesso Falzarego, Pordoi, Sella, Campolongo, Sassolungo, Rolle, a volte si tornava da Santo Stefano di Cadore, a volte da Misurina e Dobbiaco, o per Fedaia e la Marmolada, via Sottoguda ovviamente, o passando per le 5 Torri o intorno al Cristallo o per Braies o Fanes o le Tofane…

È passata alla storia quella volta in cui si è avventurata su una mulattiera ed è andata avanti e avanti, solo che ad un certo punto non poteva più proseguire, troppe buche e strada dissestata, con parete di roccia da un lato e strapiombo dall’altro e le 5 Torri che ci guardavano sulla sinistra.

E mi ricordo ancora che faceva caldo, eravamo sigillate in macchina (con lei guai aprire i finestrini, le bastava un filo d’aria per avere male al collo… che saune…) e ad un certo punto mi sembra di sentirla dire: “bambine non so più cosa fare, non possiamo andare né avanti né indietro”.

È finita che è arrivato per caso un tizio su una Jeep, con gli occhi fuori dalla testa a vedere una normalissima 850 piantata in mezzo alla stradina, con dentro una donna e 2 ragazzine (primi anni ’70, quando c’erano le battute sulle donne al volante…).

Come ci abbiano portato via di lì non me lo ricordo proprio, so che da allora la mamma faceva solo strade principali, non ha più preso le mulattiere, chissà come mai.

Se guardo adesso la cartina mi chiedo: ma come cavolo facevamo?

Con quella macchinina, con le strade di allora (le stesse che adesso si vedono dismesse e abbandonate perché troppo ripide o strette o insicure, come ci è successo di vedere verso Fedaia), e lei guidava e guidava e non si fermava mai…

Marmolada (Lago Fedaia) ago 72

A ripensarci adesso ho capito dove ho imparato a muovermi in macchina, io farei ancora così, sempre in corsa, mai capace di stare ferma in un posto per più del tempo strettamente necessario.

Ho capito dove ho imparato a dire: il viaggio per il viaggio, non per la destinazione: da lei, ho imparato!

Ho raccontato tutto questo per dare un’idea di cosa abbia significato per me passare quei 3 giorni in montagna con Adriana e Franco.

Per me è stato un tornare indietro alla mia adolescenza, dopo più di 50 anni ripercorrere quelle strade, risentire quei nomi, rivedere quelle immagini che ormai erano poco più che fantasmi nella mia mente.

Fantasmi di ricordi, quelli di una bimba, e poi ragazzina, a cui è stato insegnato ad amare quelle montagne, a rispettarle, a considerarle come parte della famiglia, come parte delle proprie radici.

Per questo ho deciso che non ha molto senso che io mi metta a raccontare “siamo andati lì”, “abbiamo girato di là”, abbiamo mangiato questo o quello”…

Lascio parlare le foto della galleria, raccontano molto meglio di quanto potrei fare io con migliaia di parole.
La sola cosa che voglio dire è che, in questo mio ritorno a casa, quei tre giorni sono stati il regalo più bello che potessi mai ricevere.

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