Il dubbio atroce

Quello che non se ne va, quello che ho avuto negli ultimi 10 anni e continuerò ad avere sempre.

E adesso, dieci anni dopo, trovo la serenità necessaria per scrivere quelli che sono sempre stati pensieri ricacciati in fondo, mai espressi del tutto.

Non so se ne ho mai parlato con Adriana, con la memoria piena di buchi che ho potrebbe anche essere, ma non me lo ricordo.

Quel dubbio che ho avuto fin da subito, anzi fin da prima che la mamma morisse.

Quegli ultimi giorni vicino a lei, giorni a darci il turno io e mia sorella per restare con lei il più possibile, per non farla essere sola nel momento in cui se ne sarebbe andata.

E perlomeno le ultime tre notti, passate vicino al suo letto, con lei che ormai neanche sapeva più chi fossimo, col solo segno di vita quel respiro rauco nel mascherone dell’ossigeno, quelle smorfie di dolore, quelle labbra secche e piagate…

Gli ultimi tre giorni della sua vita, con quel paravento intorno al letto che la isolavano da tutto tranne che da noi che eravamo lì.

Sì, perché nella lungodegenza dell’Ospedale, quando un paziente si avvicina alla morte, lo isolano, gli mettono un grosso paravento intorno al letto, forse per farlo sentire meno esposto o forse, più probabile, per non far vedere alle altre ricoverate (stanza da 6 letti) la fine che le aspetta.

Nei giorni precedenti, quando la mamma era ancora in sé, avevamo visto quel paravento intorno a Radio Londra, la signora che borbottava continuamente con quella voce bassa e roca, la mamma stessa l’aveva chiamata così.

Radio Londra aveva sempre qualcuno vicino, non so bene chi ma mi ricordo il nipote, ormai adulto, che stava lì con lei e le teneva la mano e l’ascoltava, anche se penso che ormai niente di quello che diceva avesse un senso logico.

E un giorno quando siamo arrivate il paravento era lì, Radio Londra non era più un ronzio continuo ma una voce ogni tanto, e poi il silenzio.

Il giorno dopo non c’era più niente.

Quel paravento forse è per non far vedere qualcuno che muore ma è come un cartello luminoso che dice: “qui c’è qualcuno che sta contando le ultime ore, minuti, secondi…”

L’8 agosto 2013 era di giovedì, la mamma aveva il paravento fin dal lunedì e lei teneva duro, ora dopo ora, e noi eravamo lì con lei.

Siamo state le notti con lei fin dalla domenica notte, poi lunedì, martedì… il mercoledì eravamo stremate e visto che niente cambiava abbiamo deciso di non restare, lei era incosciente e non sapeva neanche che eravamo lì, abbiamo deciso di andare via la sera e tornare la mattina presto il giorno dopo.

Non abbiamo fatto in tempo, il giorno dopo, come ho già scritto, stavamo uscendo di casa quando ci hanno avvisato che se n’era andata.

Il dubbio…

Quello che mi sono sempre chiesta da allora, ci sono persone che restano anche mesi in quelle condizioni, spegnendosi a poco a poco, invece guarda caso, proprio la notte in cui non c’era nessuno di noi con lei, lei ha deciso di andarsene.

Perché quella notte?
Forse perché semplicemente ha fatto l’ultimo faticoso respiro, non importa chi c’era e chi no.
Ma forse perché, visto che era sola, l’hanno aiutata a farlo, quell’ultimo respiro.

Se una di noi fosse stata lì, quella notte e tutte quelle successive, ad oltranza, lei se ne sarebbe andata quel giorno?

Intendiamoci, lei non meritava di continuare a vivere in quel modo, soffrendo per ogni singola goccia di vita che aveva, lei stessa se avesse potuto avrebbe detto “lasciatemi andare”, e noi lo sapevamo.

E i medici lo sapevano che noi speravamo che tutto finisse al più presto, e con pochissimo tatto il Primario qualche giorno prima aveva detto, con altre parole ma il succo era questo, “questa qui ormai è andata, non fate altro per lei”.

Se ce l’avessero chiesto, sia a me che a mia sorella, avremmo dato l’ok ad un aiuto che facesse finire al più presto quell’agonia.

Ma ovviamente, visto che non si può, visto che l’eutanasia è assolutamente illegale, non ce l’hanno chiesto né detto, non potevano.

Il dubbio atroce è che, pur nell’assolutamente illegale, l’abbiano fatto lo stesso.
Sai la cosa più amara, quella che mi fa stare più male, qual è?

Che era sola quando è morta, sola in quell’anonimo letto, dietro a quel paravento, lontana da tutto il mondo, sola, assolutamente sola.
Era in assoluto quello che non volevamo, che morisse da sola.

E l’unica cosa che nel mio cuore spero è che non se ne sia resa conto, che non lo sapesse, che non ne fosse cosciente.
Che in quell’ultimo attimo, in quell’ultimo respiro non si sia risvegliata rendendosi conto che l’avevamo lasciata sola.

Se così è stato… perdonami mamma.
Ma se potessi un giorno sapere che così è stato io non mi perdonerei, mai.

***

Io sono vecchia ormai, non vecchissima, diciamolo, ma abbastanza vecchia da aver visto tanti, tanti più giovani di me, andarsene.

Arriverà il mio momento, presto o tardi, e spesso mi dico che non sarà mai troppo presto, che la mia parte l’ho fatta e potrei anche fermarmi qui, finirla qui.

Quando quel momento arriverà spero davvero di riuscire a fare in modo di andarmene lontano da tutto e da tutti, per risparmiare loro l’agonia di vedere che mi spengo come una candela consumata, ma non come lei, non dietro ad un paravento.

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