Italia Settembre 2018

20 settembre, giovedì
Inspiegabilmente oggi non riesco a parlare nessun’altra lingua.

Trovarmi in aeroporto, fare l’imbarco della valigia, chiedere informazioni di dove cavolo è il check in A che si sono inventati per i voli TAP, ogni volta che parto qualcosa è cambiato e mi sento persa e devo rifare tutto da capo.

E non riesco a spiccicare una parola, in nessuna lingua, neanche la mia.
È un po’ frustrante sinceramente.

Sto per prendere forse il ventesimo aereo negli ultimi 3 anni e ogni volta in aeroporto sembra la prima.
La sensazione che ti danno è quella dell’instabilità, della natura assolutamente transitoria e temporanea di venire in questo posto, prendere un volo, muoversi in modo diverso da quello quotidiano.

Un conto è prendere un autobus tutte le mattine per andare al lavoro, un altro un aereo.
Mi chiedo se la sensazione è la stessa per chi magari prende un volo tutte le mattine per andare al lavoro. 
Penso al ponte aereo fra Lisbona e Porto.
C’è chi lo fa, oppure a chi sugli aerei ci lavora.

Ma forse anche per loro è diverso trovarsi dall’altra parte, quella dei passeggeri.
Fatto sta che non vedo l’ora di partire.

E di arrivare in un posto dove non devo chiedermi in che lingua fare una domanda, un posto dove la mia lingua istintiva basta, senza pensarci troppo.
Anzi per niente.

Inizio il mio viaggio verso le mie ferie di quest’anno.

Beh l’inizio non è stato il massimo.
Sono le 11.20 cioè l’ora in cui l’aereo dovrebbe partire.
E invece siamo qui ammassati su un bus che non parte, ho mal di schiena e alle gambe e non si capisce ovviamente perché stiamo fermi qui, con altra gente dietro ad una porta a vetri che dovrebbe un teoria prendere un altro bus per il mio stesso volo.
Si ma quando?
Ndo sta sto volo?

E alla fine, di quanto arriveremo in ritardo?
Beh almeno una cosa, la mia voglia di sentire la mia lingua intorno a me è praticamente già stata soddisfatta.
E gli italiani sono sempre loro e si fanno riconoscere sempre e dappertutto.

L’autobus quando è finalmente partito ha fatto un giro che ci ha portato praticamente al terminal 2.
Guardandomi intorno da quell’autobus cercavo punti conosciuti dalla città intorno a me.
E la sai una cosa ?
Lisbona mi manca già.

Il volo non è stato un granché, non amo particolarmente il posto in corridoio ma sempre meglio di quello centrale, c’era un gruppo di portoghesi sparpagliato in vari posti e si alzavano in continuazione e si fermavano in corridoio a chiacchierare, quello che era nel posto davanti a me era un’anima in pena, non stava fermo un attimo e ogni volta che tornava al suo posto dava pedate al mio piede.
Beh dai alla fine siamo arrivati.

Bologna finora è il più caotico aeroporto che ho trovato.
Peggio di Bergamo.

Le code ai box degli autonoleggi erano da paura.
Quello di Maggiore, il mio, era chiuso e c’era un cartello che diceva di andare al box dell’AVIS.
E lì prendevi il numerino, A per l’AVIS e B per Maggiore.
6 sportelli di cui 4 funzionanti.

Per dare l’idea: alle 15.30 è atterrato l’aereo, alle 15.45 avevo già la valigia e ho preso il mio numerino B29.
Stavano servendo il n. A49.
Un’ ora dopo eravamo all’A57 e di B neanche l’ombra.
Ho chiesto se chiamavano anche il B e una sguaiata operatrice ha risposto che era il sistema che chiamava in ordine di arrivo.
(e l’ho sentita dire ai colleghi “chiamate i B”).
Chiamano i B.. era il B19 che non c’era. . Poi il B20..

E ripartono con l’A.
Allora mi sono presa anch’io un ticket A e ho aspettato.
Era A62.
Dopo mezzora chiamano A62 e vado allo sportello dicendo guardi questo ce l’ho da mezz’ora mentre questo (il B29) ce l’ho da 1 ora e mezza, e guarda caso avete chiamato prima chi è arrivato molto dopo.
Non l’avessi mai fatto.

La simpaticona mi è saltata addosso dicendo che lei sta lavorando, che volevo saltare la coda, che c’era tanta gente che aspettava ecc ecc.
Le ho detto ma ci mancherebbe che salto la coda, io resto qui a guardare gente arrivata 1 ora dopo di me che mi passa davanti, vediamo quando mi chiamate.

Miracolosamente “il sistema” ha iniziato a chiamare B a raffica.
Morale: la macchina me l’hanno data dopo 2 ore che stavo lì.

Poi a piedi sotto il sole a cercare il parcheggio degli autonoleggi, nessuno che dava assistenza, ti arrangi.
Alle 18.00 sono uscita con la macchina da quell’inferno.
Alle 19,30 ero a Massa.
Indovina un po’ che feedback ho messo su Rentalcars…

23 settembre, domenica
Le giornate qui sono state di relax.
E in effetti ho anche dormito come se fossi in arretrato di anni.
Probabilmente la tensione degli ultimi mesi che si scaricava, finalmente nessun senso del tempo, della fretta di fare le cose prima di doverne fare altre o semplicemente prendere un autobus e andare al lavoro.
Insomma è vacanza?
Direi di si.

Con Adry e Franco siamo andati la seconda sera al Lido delle Nazioni a fare una passeggiata, mangiare una piadina e un gelato.
La sera dopo a Estensi per una pizza con dei loro amici.

Scioccante scena in quella pizzeria: al tavolo vicino al nostro una decina di persone che cenavano fra cui 2 bambini, un maschietto di circa 7 anni e una bimba sui 9 anni.
Non si sono mossi dal loro posto per tutta la cena, forse non hanno neanche parlato.
Tutti e due con cuffie e tablet a giocare o chissà cosa, mummificati.

Domenica al Bennett abbiamo preso cose già pronte sia per pranzo che per cena per cui neanche abbiamo cucinato.
Insomma i primi giorni sono stati vacanza.

24 settembre, lunedì
Massa – Padova
Il viaggio fatto mille volte, colazione al solito bar del distributore meno caro d’Italia (che sappia io), tornare alla mia città, le strade che conosco a memoria, e come sempre i ricordi si affollano, non senza un po’ di tristezza e rimpianto.
Anche se non erano certo bei tempi quelli in cui le facevo.

La volpe!
La storia del volpino che Leone ha dimenticato in albergo a Lisbona a maggio scorso 🙁
Quando sono andata all’albergo a chiedere mi hanno detto che non sapevano, che la stanza era occupata, che chiedevano a chi fa le pulizie… e poi, testona che sono, mi sono sempre dimenticata di passare a chiedere.
E il tempo è passato e quando mi è venuto in mente ho dato il volpino per perso.
Ma non per Leone e prima di partire Valentino mi ha scritto: “ricordati la volpe”.
Che ovviamente non c’era.

Così ho fatto una ricerca in rete per vedere se all’IKEA la vendevano ancora, e ovviamente no.
Lo stesso la prima cosa che ho fatto arrivando a Padova è stata andare all’IKEA, nella speranza che magari ce l’avessero ancora.
E ovviamente no.

Anzi ho chiesto ad una ragazza che dava informazioni, ho preso il mio numerino e ho aspettato in coda che finisse di fare un preventivo di migliaia di €uro ad una coppia che doveva arredare tutta la casa.

Poi con la mia foto della volpe sul telefono, anche sentendomi un po’ scema, ho chiesto: “non è che magari ne avete ancora in magazzino?”.
La ragazza, con ben poca simpatia mi ha guardato con un’espressione quasi disgustata dicendo “no signora, non ci sono più volpi!!”

Niente volpe, ho preso un gatto.
Non un sostituto, un’aggiunta, e mi sono sentita una cacca quando Valentino ha detto a Leone che avevo dimenticato la sua volpe a Lisbona.
Che razza di nonna sono !!

E poi al pomeriggio ho fatto il tatuaggio.
Disegno di Valentino, stencil, disinfettante, ago nuovo nuovo “di quelli buoni, da linea, non da riempimento”, inchiostro, buchi e buchetti (non ha fatto neanche male), e la mia fenice piano piano è apparsa sul mio braccio.

Era una cosa che prima o poi avrei voluto fare, che magari rifarò, ma cavolo non si cicatrizza più.
Mi ci devo ancora abituare.

E la sera la nostra solita cena dal cinese alle Piramidi, hanno cambiato gestione e non è più come lo volevamo noi ma vabbè, buono, un po’ caro, la prossima volta si cambia.
L’importante è stare coi miei ragazzi.

25 settembre, martedì
Giornata di corse ma anche di “passaggi” che mi danno un senso di sicurezza, forse quelli che hanno più di tutto il sapore del ritorno a “casa”.
Sono passata all’Abbazia di Praglia a fare un paio di foto, colazione ad un bar per la strada (cappuccino e brioche come li fanno in Italia non si trovano di certo a Lisbona, anche se era un bar gestito – ma dai ? – da cinesi).

In quel bar ho preso questi appunti:
Ogni persona che incontriamo è una storia.
Nelle corse di tutti i giorni non ci pensiamo mai, ma sarebbe bello poter dire ad un perfetto sconosciuto incontrato per strada: raccontami la tua storia.
Mi sono fermata in una caffetteria a fare colazione e vicino a me c’erano 4 persone che parlavano.
Chiaramente non era un incontro frequente, gente che si conosce ma non si frequenta, tranne che in qualche occasione della vita.
Loro parlavano di una storia di morte, eredità, figli che litigano, di un padre che comunque avrebbe ereditato (chi lo sa che altre storie ci sono alle spalle).
Parlavano di lavori da iniziare, più un sogno che una realtà, di vincite al lotto e di canzoni di 50 anni fa.
Che vite ci saranno dietro a queste storie spizzicate qui a là?

In cimitero dalla mamma, all’Auchan a prendere un po’ di cose da portarmi a Lisbona, a prendere le scarpe.
Poi di corsa di nuovo a Fossona per andare a prendere Leo a scuola.

Un paio d’ore con lui e poi di nuovo a Padova per la pizza coi miei amici “storici”, Leo, Lella e Maurizio, nella “storica” pizzeria dove si va ogni volta.
Anche questo un ritorno, una conferma.

26 settembre, mercoledì
Per evitare di andare di nuovo a Padova, magari a girare a vuoto, e rifare l’andare e venire del giorno prima, la mattina pensavo di stare a casa.
Ma Alice aveva i suoi lavori in sospeso e un arretrato di sonno (che mi sa che è cronico) e non volevo starle fra i piedi.

uando ha visto che non avevo niente da fare mi fa: “perchè non vai al lago di Fimon?”.
Ne avevo sentito parlare anni fa e ho deciso.
Viaggio di mezz’oretta, colazione, ed ecco il Lago.
è un’oasi di silenzio e tranquillità, un piccolo lago incassato fra i Colli Berici, il posto dove ritrovi pace e serenità e il contatto con te stessa e la natura delle piccole cose.

Il molo abbandonato e cadente, ninfee e pesciolini, un cigno grigio e dispotici uccelli dal lungo becco che camminavano zampettando sulle foglie delle ninfee.
Ho provato anche a fotografarne uno ma la mia fotocamera non arriva a tanto, avvicinandomi mi sono fatta sentire, chi lo sa, e si è girato iniziando a starnazzarmi contro, forse ho disturbato i pescetti che cercava, me ne ha dette di tutti i colori.

Una mamma con un bimbo di poco più di un anno che correva incerto sul pontile, qualche ciclista e anziani in passeggiata.
Una coppia in canoa (si intravvede da una delle foto) ma soprattutto silenzio.

Sono rimasta forse un paio d’ore, poi volevo andare a prendere Leo a scuola per cui sono tornata verso Fossona.
Ad un supermercato per la strada ho preso il pane, il baccalà mantecato che fanno qui e 3 spumiglie enormi 🙂
Pranzo coi miei ragazzi, compiti per casa con Leone e poi da Cetta.

Tornare dalla mia famiglia adottiva è sempre la stessa full immersion di gente, litigi per gioco (ma anche no), abbracci stritolanti, generosità espressa in mille modi, amore.
Con Leone abbiamo preso un gigantesco vassoio di paste, loro sono tanti e c’è sempre qualcuno in più, i bimbi hanno giocato e corso nel giardino di Michela prima e di Cetta poi, chiacchiere, aggiornamenti delle chiacchiere, novità e nuove preoccupazioni, ma che importa?

Quello che importa è che ogni volta che torno da loro non sembra passato un attimo dalla volta prima, anche quello fa parte del tornare a casa.
Stare con loro è una delle cose che mi manca di più vivendo lontano, ogni volta mi riempie, mi carica come una batteria.

Erano le 8 passate quando siamo venuti via e quasi le 9 quando siamo arrivati a casa, io e Leone.
Lui zozzo per essersi rotolato per terra e sull’erba e superaffamato e stanchissimo, gli ho fatto i raviolini che avevo preso (quelli piccolissimi che piacevano a suo padre quando aveva la sua età) e ne ha fatto fuori un piatto enorme 🙂
I ragazzi erano fuori quella sera, eravamo solo io e il mio cucciolo 🙂

27 settembre, giovedì
La mattina doccia e poi la visita dermatologica che avevo prenotato per far vedere il mio neo.
Almeno ho avuto la rassicurazione che non è niente di pericoloso, né lo diventerà.

E poi da Cetta.
Come al solito hanno fatto un pranzo con mille cose, come sempre buonissime, come sempre la loro compagnia è una cosa da vivere e godere, da assorbire per potersi portare a casa la sensazione di abbraccio che lascia.

Non solo buone notizie, anzi sono un po’ preoccupata per loro in questo periodo, Cetta mi ha raccontato cose successe in questi mesi, a lei, a tutti loro, a conoscenze comuni.
Come al solito stando lontano si pensa che tutto si cristallizzi e resti come lo hai lasciato ma non è mai così.
È con un po’ di amaro in bocca che ho salutato tutti loro la sera.

E sono tornata dai miei ragazzi per la “sorpresa”.
Valentino mi aveva detto di tenermi libera quella sera che c’era una sorpresa e lo è stata davvero.
Abbiamo portato Leone da una collega di lavoro di Vale e siamo andati al concerto di Giovanna (Lubjan) e di Eugenio Finardi.

Il concerto era nel piccolo Teatro ai Colli, a Brusegana, mi è sembrato un po’ strano che un “nome” che è, o è stato, così famoso facesse un concerto in un posto piccolino come quello, delle dimensioni del teatro di un oratorio.

Ci saranno state si e no 200 persone, paganti (27€ a testa non è neanche poco), gente che aveva preso il biglietto da aprile scorso quando il concerto è stato rinviato per non so che motivo.
Alla fine della serata l’organizzatore diceva ad Alice (che era dello staff della Gio) che ci aveva rimesso parecchio (5000€ a Finardi più la sala, pranzi e albergo per il gruppo, ecc ecc.. ).
Giovanna è stata bravissima, molto professionale, le canzoni che ha cantato erano tutte sue, nessuna cover.

Ad un certo punto dell’ultimo brano è saltata la corrente all’impianto dei microfoni e lei ha continuato a cantare accompagnandosi con la chitarra, senza filtri, senza amplificatore, bravissima!
Si è meritata tutto il grande applauso alla fine della sua esibizione, proprio tutto.

Poi ha attaccato Finardi, il suo classico repertorio di brani conosciutissimi, storici.
Bravo, bravi i suoi musicisti, ragazzi giovani a cui lui dà la possibilità di lanciarsi, bello spettacolo.
Alla fine, dopo il concerto, lui e i musicisti si sono fermati a chiacchierare con alcuni del pubblico, d’altra parte l’ambiente era quasi intimo.
Bella serata davvero.

A me comunque è tornata in mente la prima volta che l’ho visto in concerto.
Era forse il ’76, Finardi era un perfetto sconosciuto che apriva il concerto della PFM al Palasport di Padova, prima che arrivassero “La radio”, la “Musica ribelle” o “Extraterrestre”.
Quella volta non mi ha fatto una grande impressione anche se l’averlo sentito dal vivo me lo ha fatto ricordare negli anni successivi, quando ha avuto un grande successo.
Forse perchè allora tutti aspettavano la “Chocolate kings” della PFM, secondo me genere molto diverso dal suo.
Forse anche perchè di quel concerto mi ricordo che alla fine della sua scaletta se n’è andato con una botta al microfono senza dire una parola, l’ho sempre considerato un po’ stronzo.
Magari mi sbaglio.

28 settembre, venerdì
Giornata di emozioni, un po’ di disillusioni, ho scoperto cose che non mi aspettavo e che mi hanno fatto stare male, preoccupare.
Come già dicevo ci si illude che il mondo resti quello che è, quando non ce l’hai sott’occhio, ma le cose cambiano e quasi mai in meglio.

Sono andata a trovare mia cugina Valentina, non la vedevo da anni ormai, anche se siamo state saltuariamente in contatto con messaggi ai compleanni e a Natale o qualche like su Facebook.
è stato bello rivederla, e tornare in fabbrica, l’ambiente della storia della mia famiglia, la terra dove hanno affondato le mie radici.

Tutto è più o meno come lo ricordavo, come l’ho vissuto da ragazzina quando alla stessa scrivania c’era mia mamma che lavorava e nel piccolo ufficio della fabbrica c’era mio zio.
O più tardi quando nello stesso ufficio dove era Valentina ci lavoravo anch’io, anche se è stato per poco tempo.
Tanto, tanto tempo fa (basti pensare che la ragazza che lavora lì all’amministrazione ci lavora da 16 anni).
Dopo la mamma se n’è andata, cedendo tutto alla zia nell’84.

Poi se n’è andata anche la zia, nel 2001, e hanno preso in mano la baracca i miei cugini, Paolo e Valentina.
Paolo non c’era, da qui la storia non bellissima che ho scoperto e che non sto a raccontare qui.
Sì, ci sono stata male, e ancora ci penso e ci sto male.
Se mai leggessi qui, un abbraccio forte forte, cuginetta.

E poi da Ada.
Non l’avevo avvisata che ero tornata, in effetti non avevo molta voglia di andare a trovarla.
Non per lei, è sempre la meravigliosa persona che conosco ormai da 5 anni e che è veramente una parte di quello che posso definire “famiglia”.

La zia Ada.
Mi sentivo un po’ in colpa a non essermi fatta viva prima e mi sentivo, e mi sento tutt’ora, in colpa per non aver mai fatto le foto all’Amaro del Folpo per Luca, suo figlio.
Avrei voluto andare da lei con almeno qualcosa in mano, un ricordino, una stupidaggine.
E invece mi sono presentata lì senza preavviso e senza niente, a mezzogiorno passato, anche impedendole di andare a riposare.

Ma Ada è Ada e mi ha accolto come sempre con un mare di affetto, come se non fosse passato neanche un giorno dall’ultima volta che ci siamo viste.
Anche lei non mi ha raccontato cose bellissime, soprattutto sulla conoscenza che abbiamo in comune che finisce per essere sempre l’argomento principale.
Mi piangeva il cuore andando via.
Vorrei poter essere più vicina e vederla più spesso.

E con la sua solita generosità ha tirato fuori una confezione di pesto fatto da lei perchè me lo portassi via e ha voluto a tutti i costi darmi i soldi per farmi un regalo, da parte sua.
Dolcissima zia Ada, vorrei davvero poterti abbracciare più spesso.
Velocemente sono passata a risalutare la caotica famiglia Taverna e poi sono tornata da Vale.

La sera era in programma la Sagra di Torre.
Di nuovo Alice era impegnata con uno show di Giovanna e l’abbiamo raggiunta io, Vale, Leone e Alberto, un collega di Vale.

Bella serata dai, musica, pesce fritto con la polenta, Leone alle giostre, insomma la classica serata alla Sagra, c’era tutto l’ambaradan, le caldarroste, la Pesca di Beneficenza, una di quelle cose che non facevo neanche da ragazzina, tipica delle mie parti.

Magari una o due volte nella vita ci può stare, se penso che ci sono ancora persone che vedono questo tipo di avvenimenti come l’unico evento mondano della vita, o quasi.

Volevo dire a quella folla festante e godereccia: ma guardatevi intorno, con tutto il mondo che c’è la fuori per voi questo è la cosa migliore che pensate di fare?
Ah dimenticavo, quello e andare in spiaggia d’estate, ovviamente.
Buona vita, cretini !

C’era anche Francesco che non rivedevo da anni, cerco di ricordare l’ultima volta che ho visto il mio ex marito, forse è stato nel 2012 al matrimonio di Valentino e Alice.
Sinceramente ? non mi ha fatto né caldo né freddo.
Gli auguro tutto il bene del mondo, ovviamente, ci mancherebbe, ma lui è fuori dalla mia vita ormai, un estraneo.

29 settembre, sabato
La mattina alzarmi con calma, chiudere le ultime cose in valigia, salutare Vale che va al lavoro, il primo dei molti addii-arrivederci-ci sentiamo presto.
Poi Leone che giocando ogni tanto abbassava la testa e metteva il muso.
Cos’hai? Chiedevo.
… niente…
È perché vado via?
Si…
Il mio cucciolo,  ogni volta mi si spezza il cuore quando vado via.
E che posso fare???
 

Chiusi i bagagli, caricato tutto in macchina e via, a casa della Leo dove mi aspettavano per pranzo.
Poi il solito giro in Prato, al mercato, ho finalmente preso le tovaglie per casa.

E ritorno a Massa, benzina, la scorta di tabacco per i prossimi mesi, ne ho presi 25 pacchetti, se ne può portare 1 kg all’estero ed è quello che ho fatto.
Risparmiando un bel po’ rispetto ai prezzi del Portogallo, circa 50€.

 

30 settembre e giorni successivi.
È vero che il cielo qui è più basso.
Il sole è diverso, qui ha già i colori dell’autunno.

Il silenzio non è neanche immaginabile se non si prova ad ascoltare. I suoni che percepisci sono il fruscio di una macchina che passa nella via 200 m. più in là, le voci di una bimba e una mamma che passano in bici e il ronzio delle tue orecchie.
La sera e la notte fa fresco, se non freddo, che bello dormire con la trapuntina che mi ero presa all’IKEA anni fa, ogni volta che torno è lì che mi aspetta.
Riunire tutte le cose da portare a casa e mettersi le mani nei capelli pensando di far stare tutto in un’unica valigia, quasi da folli.

Ma ce l’ho fatta, ancora non ci credo, ho dovuto lasciare 2 felpe nell’armadio, pazienza, me ne prenderò altre quando anche a casa mia farà fresco, per ora leggo che a Lisbona ci sono 30° per cui magari fra un po’.
 
Frugando fra le varie cose ho trovato un blocchetto di vecchie foto, Valentino aveva 6 o 7 anni e io accidenti, ero grassa e giovane.
Ridendo e scherzando 25 anni fa.
Giovane non sono più di certo, grassa… beh insomma, potrebbe andare meglio.
Ed è arrivato anche il giorno della partenza, zaino e valigia strapiena, raffreddore, abbracci a Francone e alla mia sorellina che rivedrò a febbraio, e via verso Bologna.
Inaspettatamente la consegna della macchina è stata veloce, in 10 minuti ho fatto tutto, e poi l’attesa del volo, il check-in del bagaglio, la solita prassi di coda per i controlli, levare le scarpe e tirare fuori il pc dallo zaino, insomma come sempre.
All’arrivo mi è venuta a prendere Elisabeth, un caldo della madonna, e a casa.
E una pizza per cena con Eli e Roberta, bentornata a casa Lu.
 
Questo è un diario di quei 13 giorni in Italia nel settembre 2018.
Un ritorno emotivo ed emozionante, stavolta, pieno di affetto e di abbracci, un bel ritorno da tenere nel cuore.
 
Non molte foto, certe cose non le fotografi, ma quello che era possibile è qui:
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